Il Tribunale di Milano ha respinto il ricorso di un ordinanza del 21/25 gennaio che ha ingiunto a Google di eliminare i che associavano due parole chiave diffamatorie, truffa e truffatore, ad una persona che opera nel settore finanziario. Mentre Google esegue alcune sulla base di norme locali di natura e giuridica, questa è almeno la che un tribunale europeo ha disposto la censura di frasi relative ai truffatori.
Figura 1: Sembra che Google ha rispettato la sentenza, a giudicare da una ricerca del presunto nome completo del ricorrente e anche il nome + “t” (il cognome è indicato nella sentenza) Il ricorrente ha sostenuto che Google avrebbe dovuto applicare filtri in modo preventivo per evitare di lesionare i diritti della persona costituzionalmente garantiti (ma quali diritti non è chiaro – l’onore non è specificato nella Costituzione italiana) e, una volta segnalato il problema, non ha preso alcun provvedimento. Google ha sostenuto che le parole suggerite per le queries sono generate automaticamente, il risultato delle ricerche più frequenti effettuate in precedenza dagli utenti, e che quindi Google non è responsabile per il loro contenuto. Google ha inoltre sostenuto che la censura dei contenuti immessi dagli utenti potrebbe causare lamentele e richieste risarcitorie a suo carico.
Completamento automatico: un problema di reputazione in più da gestire nei motori di ricerca
I suggerimenti tentano di anticipare quello che un utente sta cercando sulla base della conoscenza di Google sulle queries di ricerca precedenti, cioè quelle combinazioni di parole chiave di ricerca che sono state popolari in passato. Se un’azienda o un professionista sono coinvolti in uno scandalo, anche se non per colpa loro, un volume significativo di ricerche per il nome abbinato a parole chiave “infamanti” potrebbe risultare dal momento che le persone utilizzano Google per scoprire informazioni sullo scandalo. Un utente che digiti il nome della persona o azienda può quindi vedere parole “compromettenti” associate al nome della persona o azienda. I suggerimenti di ricerca rappresentano l’attuale Zeitgeist collettivo, ossia lo spirito del tempo, come espresso dal comportamento degli utenti dei motori di ricerca. Una ricerca sul nome del primo ministro italiano, , illustra questo fenomeno:
berlusconi | berlusconi |
berlusconi ruby | berlusconi ruby |
berlusconi scandal | berlusconi dimettiti |
berlusconi women | berlusconi news |
berlusconi bunga bunga | berlusconi silvio |
berlusconi prostitute | berlusconi bunga bunga |
berlusconi news | berlusconi wikipedia |
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berlusconi trial | berlusconi e ruby |
Figura 2. I suggerimenti di Google Autocomplete per Silvio Berlusconi
Il completamento in automatico non solo aiuta il completamento delle queries, ma agevola anche la ricerca serendipity, cioè la scoperta di informazioni utili correlate partendo da un concetto iniziale e dalle domande poste da altri.
Per le persone o aziende che incontrano il loro nome associato a parole chiave poco lusinghiere, i suggerimenti di Google per la ricerca presentano un ulteriore problema di reputazione nei motori di ricerca da gestire. Una soluzione tipica utilizzata per gestire i problemi di reputazione nei risultati di ricerca di Google è quello di spostare i risultati poco lusinghieri più in basso nella pagina, ottimizzando così i risultati più favorevoli. Alcuni professionisti SEO hanno avuto successo utilizzando il turk meccanico d’Amazon ed altri mezzi per valorizzare i , ma nella maggior parte dei casi questi approcci non sono praticabili come soluzione a medio o lungo termine a causa dei meccanismi alla base di e delle condizioni di utilizzo di Google. Certamente un’ordinanza del tribunale, se rilasciata in modo tempestivo, sarebbe un mezzo molto efficace per risolvere un problema di reputazione nei suggerimenti di Google.
La difesa di Google e la decisione del Tribunale di Milano su Google Autocomplete
Nella sua prima linea di difesa, Google si è appoggiato alle direttive UE relative agli ISP e fornitori di hosting cioè come semplice fornitore di una piattaforma neutrale che ospita i dati immessi da altri, Google non è responsabile per i suggerimenti che appaiono nella query di ricerca grazie al meccanismo di autocompletamento. Il tribunale ha stabilito che questo argomento non si applica alla funzionalità del . A parere della Corte, il completamento automatico è un facilitatore di ricerca opzionale – “l’eventuale modifica e/o eliminazione non comprometterebbe in alcun modo la libertà degli stessi di accedere alle ricerche offerte dal motore di ricerca”. La colpa di Google risiede nella scelta di utilizzare il suo sistema di completamento automatico per facilitare le ricerche. La Corte ha osservato che “Si tratta di una scelta che ha chiaramente una valenza commerciale ben precisa, connessa con l’evidenziata agevolazione della ricerca” come se i suggerimenti per la ricerca siano stati in qualche modo un optional unico rispetto all’insieme di tutte le altre caratteristiche del motore di ricerca.
Eppure, come sa chiunque che abbia passato del tempo utilizzando più motori di ricerca, ci sono molte caratteristiche, che nel loro insieme, differenziano un motore di ricerca mediocre da uno buono.
Basta considerare la frustrazione di vedere i risultati che non sono stati aggiornati, un problema di attualità, o fuori-tema, un problema di pertinenza.
La decisione del tribunale vale solo per l’imputato specifico. Attualmente una ricerca su ciò che è stato chiamato il “Madoff” italiano, , non produce suggerimenti che comprendono “truffa”. Eppure, nella ricerca per la catena di arredamento per la casa fallita ritorna “truffa”.
La scoperta di informazioni: perché esistono i motori di ricerca
La vera ragione che giustifica l’esistenza della tecnologia dei motori di ricerca sta nell’assistere gli utenti in un processo di scoperta che porta a trovare un ago o due nell’immenso pagliaio che è il world wide web (www) di oggi. La scoperta di informazioni si basa sul successo in ciascuna delle attività comprese nel processo del recupero delle informazioni (IR): la scansione, l’indicizzazione e l’interrogazione dei contenuti web (vedi il classico di Andrei Broder, A taxonomy of web search per un approfondimento su come e perché le persone utilizzano i motori di ricerca)). Nel corso degli anni Google ha raffinato la sua interfaccia di queries per promuovere ulteriormente la scoperta di informazioni – a partire dai risultati di ricerca Google instant ai suggerimenti del correttore ortografico di queries e i site link. Il completamento automatico (autocomplete), , è solo uno dei alla ricerca messo a punto da Google, la maggior parte sono incentrati sulla necessità di agevolare il reperimento rapido ed efficiente delle informazioni.
L’affermazione del tribunale che il completamento in automatico di Google è in qualche modo una funzione distinta ed opzionale che arricchisce Google diversamente da altri elementi del sistema di scoperta di informazioni messe a disposizione da Google sfida la logica.
Sparare sul messaggero: la censura della Corte della scoperta di informazioni
Imponendo a Google di censurare la componente di ricerca serendipity del processo di scoperta di informazioni, la Corte rende molto più difficile che i potenziali clienti del querelante possano scoprire se è davvero la stessa persona che sembra promuovere ciò che può essere pensato come un sistema per arricchirsi rapidamente. Che i due condividano lo stesso cognome potrebbe essere una semplice coincidenza, ma è imperativo che le persone siano in grado di prendere una decisione informata prima di spendere o investire il loro denaro – tale è anche il loro diritto, un diritto che la Corte ha calpestato con questa decisione.
La Corte ha anche aggiunto che Google Suggest è solo astrattamente neutra visto che tale neutralità è persa quando un algoritmo automatico produce abbinamenti “impropri” di parole chiave. Eppure queste combinazioni di parole chiave non riflettono nulla di più di quello che gli utenti del motore di ricerca scrivano nello svolgimento delle loro verifiche di una persona che si presenta come uno specialista dei servizi finanziari. Se ci sono parole chiave “inappropriate” associate al nome di una persona, tale è solo la rappresentazione trasparente di una problema di reputazione più ampio.
Qualora all’attore sia attribuito un comportamento discutibile, che molti sembrano sospettare sulla base delle loro ricerche, la decisione della Corte aiuta e spalleggia tale condotta, ostacolando gli utenti nel loro processo di scoperta d’informazioni. Se la missione di un motore di ricerca è quella di facilitare l’accesso alle informazioni, perché la Corte pensa di ostruire questa agevolazione attraverso la sua censura?
Un’opportunità mancata da Google?
Da una lettura della sentenza non sembra che Google abbia evidenziato il fatto che quando le parole chiave compaiono accanto ai nomi grazie al completamento automatico, non c’è nulla che leghi specificamente quelle parole chiave a una persona specifica. Molte persone condividono lo stesso nome.
Occasioni mancate per l’attore?
Un’ingiunzione giudiziaria sembra una soluzione efficace ad un problema di reputazione nelle queries di ricerca. Ciò che è sconcertante è che l’attore ha lanciato questo processo per due sole parole chiave poco lusinghiere. I suggerimenti di Google sono generati algoritmicamente, ma non solo, sono anche dinamici, cambiano nel corso del tempo per riflettere le ricerche attuali. Figura 3: Che dire di un problema di reputazione in Bing? Liberando due posti per i suggerimenti, l’attore corre il rischio concreto che altre parole chiave diffamatorie possano apparire accanto al suo nome. Perché l’attore non ha fornito un ampio elenco di parole chiave negative? La questione più importante, nel caso che l’attore sia essere la stessa persona che gli utenti cercano, è come mai l’attore abbia un problema di reputazione e sia disposto ad affrontarlo alla fonte, piuttosto che censurarne i sintomi? Un’ordinanza del tribunale contro Google non risolve nemmeno un problema di reputazione in Bing o altrove.
La risposta pubblica di Google
Finora Google non ha commentato questa decisione sul suo , né sul suo , anche se forse non è un caso che Google stia due persone per lavorare sulle politiche pubbliche in Italia.
Una copia della sentenza è qui e qui, così come un rapido riassunto dell’avvocato principale della controversia e una più lunga analisi sempre pro-censura qui.
Nelle notizie correlate, una corte a Roma ha dichiarato che Yahoo è responsabile per la pirateria che si verifica presso i siti elencati nei risultati di ricerca.
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